Convegno “Tutela delle donne vittime di violenza e maltrattamenti”
25-26 settembre 2010
Repubblica di San Marino
Intervento di Maria Rosa Dominici
Aspetti psicologici nel rapporto tra avvocato e assistita: dimensione fiduciaria e criticità relazionali
(Karinne Braga Ferreira)*
L’etimologia latina della parola avvocato “ad-vocare” significa aiutare, difendere e chiamare alla ragione, cioè, aiutare l’altro a trovare la verità e la saggezza della conoscenza.
L’ avvocato è così l’uomo della consapevolezza. I francesi lo chiamano “maìtre”, l’ uomo della saggezza, supporto di tutte le conoscenze.
Questa saggezza presuppone non solamente conoscenza tecnica a rispetto dei fatti che ha davanti, ma comprensione sugli aspetti più profondi che si trovano nella genesi del fatto stesso. In questo aspetto, tocca all’avvocato capire e usare le sue risorse naturali e personali di comprensione a rispetto di quanto profondamente può e deve entrare nella vita e nella storia particolare e concreta del suo assistito. La competenza giuridica richiede grande preparazione e studio costante. La competenza “umana”, invece, richiede capacità di applicare la lettera astratta della legge al caso concreto della vita, a capire e utilizzare nel modo più favorevole al cliente i suoi dolori, sofferenze e angosce. E qui nasce il problema.
Le università di Giurisprudenza non hanno nei suoi quadri formativi discipline che insegnano a capire la natura umana e forse l’atteggiamento stesso di certi insegnanti, isolati nel loro trono inattingibile, sicuri che la loro scienza tecnica, cieca e amorfa non ha bisogno di scambiare, rinnovare e umanizzarsi, contribuiscono per diffondere ancora di più tutta una logica moderna che trasmette l’idea di che deve avere un limite e una specificazione degli impegni nelle relazioni avvocato-cliente.(1) Deve esistere una distanza tra loro, una qualche specie di muro contro l’intimità e una limitazione al tempo destinato alla singola persona.
In questo senso, la relazione è caratterizzata da una nitida distanza tra avvocato e assistito, che hanno ruoli ben definiti ed rimane chiara la percezione che, al massimo, l’assistito avrà un “amico a pagamento”.
Prima di tutto, è necessario tenere in mente che il cliente è una persona che soffre. Normalmente, soffre perché ritiene che hanno abusato della sua buona fede, della sua fiducia, perché si sente ingannato, frustrato, violentato, parte di un mondo che percepisce ingiusto.
Nella mia esperienza come avvocato in Brasile percepivo che, generalmente, i clienti erano assolutamente soli (o se sentivano così). Non è un’osservazione nuova se si consideranno le relazione umane nella società attuale. Nelle parole di Maurice R. Stein:
“i legami comunitari diventano sempre meno indispensabili […]. Le fedeltà personali perdono d’intensità di pari passo al progressivo indebolimento di legami nazionali, regionali, comunitari, di vicinato, familiari e alla fine di legami a un’immagine coerente di se stessi.”(2)
Ossia, l’avvocato ha bisogno di essere un expert in legge e in psicologia relazionale. Il rapporto con l’assistito è fondato sulla fiducia e non si impara nei libri il modo di trasmettere questa sensazione di conforto e affidamento che portano l’assistito ad aprirsi, dividendo una parte de sua vita col legale. Un studioso brasiliano, specialista in risoluzione creativa dei problemi, analisi del comportamento e gestione dei conflitti, per risaltare l’importanza di avere tutte due conoscenze, quella tecnica e quella umana, le ha comparato alle ruote di una bicicletta; tutte due bisognano ruotare insieme per farla andare.(3) Bisogna che l’avvocato sia consigliere, che sappia ascoltare, capire e afferrare la verità della situazione che ha di fronte. Non è facile, dato che non è detto che abbia una formazione specifica in questo senso e che possieda caratteristiche personali che glielo favoriscono la comprensione su cosa chiede l’umanità dell’altro, in genere addolorata, drammatica, carente di ascolto. A questo proposito Bauman riflette che:
“il genere di incertezza, di oscure premonizioni e paura del futuro che perseguita uomini e donne nel fluido e sempre cangiante ambiente sociale in cui le regole del gioco cambiano a partita già iniziata senza preavviso o indicazioni precise, non unisce i sofferenti, ma al contrario, li divide.”(4)
All’avvocato compete riagganciare, riprendere, ristabilire l’ordine psicologico perso -o quasi- del suo assistito. E non può farlo se non con l’arte dello ascolto. L’ordinamento giuridico non sarà mai in grado di inserire nei suoi astratti comandamenti tutta la realtà umana, psicologica e sociale che pretende regolamentare. L’avvocato deve unire le sue conoscenze tecnica alla sua percezione umana sulla verità dei fatti, non giudicandoli, ma mettendosi in armonia con le paure dell’assistito, principalmente se se tratta di cliente che ha sofferto violenza e/o maltrattamento.
La criticità del rapporto sta nel fatto che l’avvocato può intendere che non tocca a lui fare lo psicologo, ma qui non si tratta di procedere ad una seduta ma a riuscire a comprendere che, in certi casi non potrà, anche se “vinci” la causa, soddisfare i più grandi bisogni del suo assistito, non riuscirà a ridarlo un senso di giustizia se non sarà in grado di contribuire a ristabilire la nozione che la persona ha di se stessa, indipendente del contenuto della sentenza del giudice. Non ci sono vincitori nel caso di un processo dove esiste una donna vittima di maltrattamento o violenza, a meno che lei stessa non si renda conto, alla fine del processo, che ha ripreso la sua dignità di persona, la sua pace interna. E qui, è funzione dell’avvocato aiutarla a riprendere il giudizio su se stessa, riconquistando la dignità sospesa. Ha il dovere di contribuire alla ristrutturazione della persona, come preconizza l’ art. 7, II del Codice Deontologico Forense:
“Art. 7 Dovere di fedeltà
[…]
II. L’avvocato deve esercitare la sua attività anche nel rispetto dei doveri che la sua funzione gli impone verso la collettività per la salvaguardia dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato e di ogni altro potere”.(5)
E forse è proprio e semplicemente sentendo che l’avvocato può dare il suo contributo all’assistito e alla collettività. Nel mio studio legale, tante volte, abbiamo capito che al cliente/vittima era più importante confrontarsi con l’aggressore e che il magistrato la sentisse, la desse voce, la considerasse, facesse attenzione alle sue parole, che sentisse la sua sofferenza, i suoi racconti e dolori che la sentenza in se stessa. Chiaramente non era indifferente alla giusta punizione che veniva inflitta al reo, ma era veramente soddisfatta di essere stata sentita e che il giudice l’avesse ascoltata con attenzione e vero interesse per il dolore provato.
Nils Christie, uno dei più noti criminologi europei, già diceva che “i corpi sono solo gli involucri temporanei di un elemento molto più stabile, l’anima”.(6) Il lavoro tecnico dell’avvocato cercherà di fare giustizia a quello che è successo al corpo, all’involucro della vittima, cercando la giusta punizione all’autore del reato. Ma la restituzione al male commesso all’anima del cliente non è prevista in nessun codice penale, procedurale o legge sparsa. Questo lavoro consiste nella ricerca della ricostruzione della fiducia del cliente, nel ricupero della sua auto-stima, fede nella vita e amore di se stessa, che la giustizia non può sottovalutare. Questo fattore addiziona al lavoro del legale una componente fortemente umana.
Sono consapevole che in un mondo dove tutti siamo di corsa, tutti abbiamo mille impegni, non sarà certo facile sentire ogni persona che si presenta nel nostro studio guardandola in faccia, ma qui stiamo parlando esattamente di come dovrebbe essere, del mondo imperfetto in cui viviamo. Questo testo, questo seminario, le tavole rotonde, servono a questo: a dire che il mondo come va non ci piace, a discutere cosa possiamo fare per aiutare l’essere umano che esiste in ogni cliente, nel caso, la donna vittima di violenza e maltrattamenti, a ritrovare la sua dignità di persona, la sua integrità morale e psichica.
Usare le capacità tecniche di avvocato serve a salvaguardare il legittimo diritto della vittima di vedere punito il suo aggressore. Non meno importante, però, il sacro diritto/bisogno che ha di vedersi nuovamente come soggetto in possesso della sua vita, della sua autostima e dignità come essere umano. E qui l’avvocato ha il dovere di contribuire esercendo l’arte dello ascolto.
*Avvocato in Brasile (www.sergiobraga.com.br), membro della Società Sanmarinese di Criminologia, specialista in Criminologia presso l’Accademia di Polizia Civile dello Stato di Minas Gerais (Brasile), dottore in Criminologia presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna, attuale Direttrice di Eventi della Commissione di Studi Penitenziari dell’Ordine degli Avvocati Brasiliani (Sezione Minas Gerais).
1- A questo proposito conviene sempre ricordare la disposizione dell’art. 13 del Codice Deontologico Forense: “Dovere di aggiornamento professionale: é dovere dell’avvocato curare costantemente la propria preparazione professionale, conservando e accrescendo le conoscenze con particolare riferimento ai settori nei quali svolga l’attività”.
2- Z. Bauman, Voglia di Comunità, Laterza, 2004, p. 48.
4- Z. Bauman, op. cit., p. 48.
5- Il Codice Deontologico Forense riguarda i principi e la modalità di esercizio dell’Avvocatura, a partire dalla tutela dei diritti e degli interessi della persona, assicurando la conoscenza delle leggi e contribuendo pienamente all’attuazione dell’ordinamento per i fini della giustizia.
6- N. Christie, Oltre la solitudine e le istituzioni, comunità per gente fuori norma, Elèuthera, Milano, 2001, p. 73.
la vittimizzazione di genere è purtroppo una realtà sociale ancora diffusissima ,è un fatto di costume e società,ovviamente è mio convincimento che solo attraverso una educazione,familiare,pedagogica ,primaria ,tale cultura della violenza verso il debole possa gradatamente modificarsi,spesso nasce in famiglia,si perpetua nel bullismo scolastico,e nel mobbing lavorativo,credo che per tali ragioni la formazione degli avvocati debba avere un 'area significativa di apprendimento di materie psicologiche ,sociologiche ,antropologiche legate alla tutela adeguata della vittima-donna ,che molto spesso subisce l'ennesima vittimizzazione nelle aule giudiziarie,
ResponderExcluirmaria rosa dominici
Concordo con te! Bisognerebbe togliere via il mito dell'università di Giurisprudenza, dei "scelti", dei professori inarrivabili, che nn scambiano e nn dividono veramente. Così, trasmettono l'idea erronea che l'avvocato e l'apprendimento del Diritto è assolutamente dogmatico, teorico e lontano. I professionisti futuri (giudici, PM, ecc) imparano presto che il contatto è parziale, superficiale e ineficace perchè nn scambia. E non si costruiscono rapporti col cliente, nn si ascolta in profondità e non ci si capisce veramente. In definitiva, il cliente donna subusce vittimizzazione anche prima delle aule giudiziarie perchè non viene sentita da nessuno, neanche del suo legale. Difesa mecanica, superficiale. Società liquida, nelle parole di Bauman...
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